QUARTIERI IMPERMEABILI ALL’INSOSTENIBILE VIA D’ACQUA PER EXPO2015
L’aggiudicazione alla Maltauro, società vicentina a capo di un raggruppamento d’imprese, per un valore di 42 mln di euro, dell’appalto per la realizzazione della Via d’Acqua – tratta sud (dal sito Expo al Naviglio Grande), riporta al centro delle cronache quello che, di fatto, dovrebbe essere uno dei pochi lasciti di Expo 2015. I lavori dovrebbero partire in autunno per terminare subito a ridosso del fatidico 1 maggio 2015. L’opera, che a più riprese abbiamo definito inutile e insostenibile (state certi che i costi lieviteranno sicuramente dal prezzo di aggiudicazione dell’appalto), modificherà in modo irreversibile, consumandone la superficie, i quattro parchi urbani della periferia ovest milanese (Pertini, Trenno, Bosconincittà, Cave). Quattro GeziPark nostrani, oggi vissuti da centinaia di migliaia di persone ogni anno, attaccati perché Expo deve lasciare un’eredità (e il Consorzio Villoresi deve mettere a valore l’acqua); barriere di cemento, reti, per quanto abbellite, che separeranno quello che nei fatti sarà un canale secondario stile mini scolmatore (e che perciò va messo in sicurezza) dalla città, dai quartieri, dall’armonia del paesaggio.
Prima ancora di partire, i lavori rischiano di incepparsi subito. Innanzi tutto perché anche su quest’appalto, come sui precedenti per la piastra, potrebbero addensarsi gli spettri delle indagini. Non solo ma nascosta dai media, silenziata dai clamori della propaganda pro-Expo, cresce nei quartieri della periferia milanese interessati (Baggio, Trenno, Gallaratese) l’opposizione alla Via d’Acqua. Due dati non nuovi. Non esistono liste più o meno bianche, ma è il sistema degli appalti, legati a grandi opere ed eventi, a essere marcio (come anche le nuove indagini su grandi manifestazioni sportive ospitate in Italia negli ultimi anni confermano). E dove Expo dispiega le sue propaggini materiali cresce la protesta; era già successo nel rhodense, ad Arese, a Milano con il progetto Darsena (collegato alla Via d’Acqua). E sarà sempre di più così fino al 2015, di fronte all’evidenza e all’irreversibilità delle trasformazioni che il territorio subisce, per un evento che è percepito dai più come inutile e costoso e di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.
Partiamo dalla notizia dell’appalto. Come scriveva nell’agosto 2012 BGReport, parlando delle vicende legate ai rifiuti tossici sotto la BREBEMI, e di cui riportiamo stralci:
“la procura di Pavia, che mesi fa ha aperto un’inchiesta per inquinamento ambientale a carico della proprietà, la Maltauro Costruzioni di Vicenza, che acquistò l’area dalla Sogim, ha deciso di andare ancora più a fondo. E di aprire un nuovo filone d’indagine, che riguarda l’iter seguito per la bonifica dell’area e l’esistenza di eventuali responsabilità a carico di funzionari che si sono occupati della pratica. Nel 2003, infatti, la Provincia di Pavia rilasciò un certificato di collaudo che attestava l’avvenuta messa in sicurezza della zona. ” Qui l’articolo
Ecoveneta\Maltauro: il bidone avvelenato regalato ai cittadini vicentini:
“Tra le aziende vincitrici, la ditta che si è aggiudicata il maggior numero di lotti, cinque, fa capo all’Associazione temporanea d’imprese (Ati) Maltauro/Taddei. Proprio la Taddei, abruzzese, ha subappaltato alcuni lavori di ricostruzione all’Impresa Generale Costruzioni srl di Gela, che era già stata oggetto di quattro segnalazioni della Direzione Investigativa Antimafia che la individuavano come referente del clan mafioso dei Rinzivillo di Gela”.
Anche nel passato della vicentina Maltauro, intanto, compaiono macchie legate all’aver operato in territori piagati dalla mafia edile. La Maltauro fu indagata per presunte tangenti a politici e funzionari per l’aggiudicazione della gara d’appalto per la realizzazione, alla fine degli anni ’80, del 1° e 3° lotto dei capannoni della zona artigianale di Villafranca, Messina. Qui l’approfondimento.
Una delle società del gruppo Edimo, la Taddei spa, insieme alla Maltauro costruzioni (la società di cui si è parlato per la villa di Berlusconi nell’isola di Antigua) ha costituito la Edimal, aggiudicataria a sua volta di appalti nel Progetto C.a.s.e.: a una sua ditta subappaltrice, la Icg di Gela, nell’estate 2009 è stato ritirato il certificato antimafia. Vedi
Non è il migliore dei biglietti da visita per un’azienda sovente incaricata della realizzazione di grandi opere pubbliche; ma d’altronde, anche le vicissitudini giudiziarie del gruppo non forniscono grandi rassicurazioni. Nell’estate del 1992 l’azienda veniva travolta dallo scandalo di Tangentopoli. Le accuse riguardavano episodi di corruzione relativi agli appalti per la realizzazione del collegamento tra Venezia e l’aeroporto Marco Polo e di Malpensa 2000. Enrico e Giuseppe Maltauro, insieme ad alcuni dirigenti del gruppo, tutti accusati di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, patteggiavano in seguito pene inferiori ad un anno di reclusione. Le ombre non si esauriscono però con la stagione di Tangentopoli. Il Gruppo Maltauro è stato recentemente chiamato in causa in relazione ad una storia di smaltimento illecito di rifiuti. Nel maggio del 2003 Ecoveneta, società del Gruppo Maltauro, concludeva un accordo con la società “Servizi Costieri” per la gestione dell’impianto di trattamento di rifiuti tossici a Porto Marghera. Ma nel febbraio del 2004 la piattaforma veniva sequestrata nell’ambito dell’inchiesta “Houdini”, che portava alla luce un traffico di rifiuti illegali di proporzioni sconvolgenti. A quel punto, Bruno Lombardi, amministratore delegato di Ecoveneta, trasferiva l’affitto d’azienda dalla società del Gruppo Maltauro ad Aimeco, società controllata dall’azienda pubblica AIM. Una dettaglio appare davvero grottesco: Lombardi firmava l’accordo per entrambe le società in quanto amministratore delegato anche di Aimeco! Dopodiché, Ecoveneta cedeva anche la sua partecipazione in Aimeco. Il “bidone” della piattaforma sotto sequestro veniva così rifilato all’azienda municipalizzata, con un costo complessivo dell’operazione pari a circa 10 milioni di euro di denaro pubblico”
Insomma lungi da noi voler ricondurre tutto a problemi giudiziari, men che meno avanzare sospetti. Ci limitiamo a costatare che il curriculum della Maltauro è decisamente poco etico e sostenibile. Ma facciamo un veloce passo indietro e ricostruiamo in breve la vicenda Via d’Acqua, dall’inizio alle vicende ultime.
Il progetto della Via d’Acqua nasce con la Giunta Moratti, dal sogno di trasformare Milano in una Venezia del XXI secolo, con Navigli navigabili dal Ticino, e più precisamente dalle dighe del Panperduto, alla Darsena e di farne uno dei simboli dell’Expo (che allora muoveva i primi passi in termini di candidatura). In realtà, al sogno morattiano si univano i ben più concreti interessi del Consorzio Villoresi (che gestisce oltre all’omonimo canale anche il sistema delle acque dei Navigli) di ricreare valore dalla gestione del sistema dei canali artificiali milanesi, manifestando il bisogno di aumentare la quantità di acqua trasferita alle zone agricole del sud-ovest della provincia. Nel progetto iniziale la Via d’acqua doveva essere un canale navigabile, prospettiva subito bocciata dai tecnici stante l’impossibilità di realizzare la cosa, se non a costi insostenibili, per via dei dislivelli esistenti tra i vari punti del percorso, che avrebbero richiesto chiuse e altri marchingegni per compensare la pendenza (per capirci un mini canale di Panama). Il progetto iniziale venne modificato di pari passo con cambiamenti, ridimensionamenti e tagli che tutta l’operazione Expo2015 ha subito dal 2007 a oggi. Il progetto attuale, presentato nel 2012, ha un costo complessivo di circa 200 Mln tra Via d’Acqua nord (dal Canale Villoresi al sito Expo), Via d’Acqua sud (dal sito al Naviglio Grande) e riqualificazione della Darsena. Come dicevamo prima, il canale che si presenterà ai visitatori di Expo sarà molto lontano dall’immaginario bucolico e leonardesco che si voleva creare e sarà, di fatto, un canale in cemento o manto bentonitico con sponde a pendenza variabile e pressoché inibitrici all’avvicinamento, sifoni, lunghi tratti interrati per una portata di 2 mq/sec, ossia un’inezia (uno shottino ci piace di più) rispetto al bisogno idrico che vorrebbe soddisfare e ai clamori della propaganda degli Expo – entusiasti.
Dicevamo dell’opposizione nei quartieri. Raccolte di firme, petizioni nei Consigli di Zona interessati, incontri e assemblea animate e partecipate. Sembra che proprio ai milanesi non piaccia questa Via d’Acqua. Certo siamo lontani dalla tenace difesa del territorio espressa dai NoTav, dalla rivolta metropolitana a Istanbul per GeziPark, scintilla di moti nazionali, o dalla critica dura ai grandi eventi brasiliani fagocitatori di risorse e diritti e motori di debito. Però, se pensiamo alle contestuali lotte per la Goccia in Bovisa, dei Seminatori di Urbanità per il Giardino degli Aromi e l’area ex-Pini e per il Pagiannunz ad Abbiategrasso, c’è da essere positivi rispetto a un passato che ha visto Boschi Verticali sostituire il Bosco reale di M. Gioia, o cascine e aree umide cementificate per nutrire il Pianeta.
Solo poco più di un anno fa, quando OffTopic auto-produsse il Glossario “Vie d’Acqua e Darsena ritrovata” e si portavano avanti le prime iniziative in Università e Convegni di critica pubblica al progetto, insieme alla rete NoExpo e Torchiera e pochi altri, le Vie d’Acqua sembravano un dogma irrinunciabile e le nostre voci isolate. Poi ci fu l’iniziativa al P.co Pertini di cantierizzazione e tracciatura simbolica dell’opera, che in quella sede fu fortemente contestata dagli abitanti alla presenza dei Presidenti dei tre CDZ attraversati dalla Via d’Acqua. Parallelamente Italia Nostra e il loro pool di tecnici stroncavano il progetto, dimostrandone l’inutilità e la possibilità di soluzioni alternative al problema acque a costi minimi e impatto quasi zero. E nascevano i primi comitati in Darsena, a Baggio, Trenno-Gallaratese per sensibilizzare abitanti e istituzioni sulla contrarietà e denunciando lo spreco di denaro pubblico. Il lavoro e l’iniziativa sul territorio dei diversi soggetti si sono intrecciati il 5 maggio scorso nell’iniziativa che ha portato una critical mass dalla Darsena a Trenno percorrendo il tragitto della Via d’Acqua, facendo tappa al Parco delle Cave dove i comitati di Baggio, Bisceglie e Italia Nostra avevano organizzato presidio e cantierizzazioni simulate. Nel contempo dal Gallaratese ci si muoveva sotto la pioggia verso Trenno, sempre tracciando con nastro il percorso del canale, dove si è svolta l’assemblea finale.
Ciliegina sulla torta, è stato nel frattempo reso pubblico il parere della Sovraintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero dei Beni Culturali (prot. 811 del 15/1/2013) che esprime un parere favorevole condizionato, individuando criticità e richiedendo modifiche sostanziali a tracciato, caratteristiche e natura dell’opera, proprio nelle aree a Parco, dove invece il Comune, Expo Spa e i progettisti di MM, contano di dare maggiore visibilità alla Via d’Acqua. E anche i comitati dei referendum civici milanesi del 2011, nonché parecchi soggetti politici e sociali si stanno riposizionando su posizioni critiche o di netto contrasto.
Non siamo quelli delle opere compensative o cui piace la riduzione del danno, riteniamo la Via d’Acqua non debba farsi tout-court, ma è indubbio che da queste sinergie può nascere in autunno un fronte ampio che faccia recedere dal progetto e addirittura dall’idea di farlo (meglio pagare una penale che indebitarsi buttando soldi e devastando i territori). In tempi di crisi questo vorrebbe la saggezza per evitare ulteriori balzelli, tagli o ricatti.
Se così non sarà il Pertini, Trenno, Boscoincittà e Parco Cave, saranno i nostri GeziPark.
Ci vedremo sulle ruspe!
Off Topic Lab
Tags: cascina torchiera, cemento, debito, expo 2015, expopolis, metropoli, milano, noexpo, speculazione, territorio, via d'acqua
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