A pochi mesi dall’inizio di Expo2015, questioni che vengono da lontano portano i nodi al pettine.
Il percorso NoExpo iniziato nel 2007, ben prima dell’assegnazione dell’esposizione universale a Milano, ha accolto negli anni una pluralità di soggetti e affermato uno pensiero critico rispetto alle logiche e ai processiimpostidai megaeventi e dalle grandi opere al tessuto sociale e urbano della città.
E’ venuto il momento di scioglierle i nodi e chiedere conto di quanto denunciamo da allora.
Sin dall’inizio abbiamo osservato come preoccupanti politiche di governo del territorio, già in essere nel tessuto metropolitano, abbiano subito un’accelerazione grazie al volano Expo, in primis il PGT, di cui è unico orizzonte progettuale e temporale. I processi di trasformazione consegnano la città alle logiche del mercato a tutto svantaggio di una sola parte della popolazione, quella che ha uno scarso potere economico. Abbiamo parlato di città vetrina per descrivere un aggressivo marketing territoriale che privilegiava il restyling delle vie dello shopping, rispetto al potenziamento dei servizi alla persona e rispetto alla riqualificazione delle periferie. Non è un caso se la lotta per la casa è diventata un’ emergenza,la spina nel fianco di una metropoli proiettata verso il grande evento. Expo rappresenta un modello impermeabile al bisogno espresso dai comitati di lotta per la casa, il diritto all’abitare. Così come la crescente politica di sgomberi è funzionale a creare una città da esporre, ma non da vivere.
Expopolis: debito, cemento e precarietà, tre assi attraverso cui leggere il dispositivo Expo2015 come lo strumento utile all’appropriazione indebita di denaro pubblico, all’esproprio del verde pubblico/dello spazio pubblico, alla cancallazione dei diritti dei lavoratori. Negli ultimi mesi, è diventataaiuto! evidente la necessità organizzativa del grande evento di operare in un contesto straordinario, in cui l’amministrazione ordinaria è limitata e gli strumenti democratici sospesi. Lo stato d’eccezione imposto dal commissariamento è diventato così un modus operandi che ha reso Expo2015 il dispositivo più insidioso lasciato in eredità all’intero Paese e codificato con l’introduzione del decreto SbloccaItalia. Un modello che da anni sperimenta il suo aspetto repressivo contro la lotta NoTav, attraverso la militarizzazione del territorio e la criminalizzazione del dissenso.
Questa mattina siamo entrati in corteo all’interno del cantiere di Expo. Abbiamo deciso di minare l’inviolabilità del cantiere oggi perché, gli stessi sindacati firmatari dei contratti di Expo 2015, hanno convocato oggi uno sciopero generale allo scopo di tutelare i lavoratori dalla stessa precarietà di cui si sono resi complici a Milano.
Scioperiamo Expo, e ci perdonerete l’uso disinvolto della forma transitiva, perché:
Perché è un dispositivo di governo del territorio pericoloso, il cui paradigma di lavoro precario e la logica commissariale sono recepiti dal governo rispettivamente nel JobsAct e nello SbloccaItalia
Perché la pratica dell’astensione dal lavoro è condizione necessaria non sufficiente a praticare un blocco significativo delle trasformazioni presenti, perché lottiamo non solo contro il grande-evento ma contro il modello che esso rappresenta. Expo è una chiave di lettura delle trasformazioni presenti, parla della Milano di oggi e del paese che verrà
Perché è una matrice di debito pubblico, cemento e grandi opere inutili, mafie e corruzione, precarietà e lavoro volontario
Perché inceppare l’esposizione, denunciarne il sistema di spartizione legale e illegale, svelarne la strategia, è funzionale a trasformare l’osservatorio costruito in questi anni, in un laboratorio di nuovo protagonismo collettivo
Ciascuno con i propri mezzi, linguaggi e compagni di strada, vogliamo inceppare quest’ipoteca sul nostro diritto alla città..ostinati a costruirci una vita degna oltre e senza expo 2015.
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