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SCIOPERIAMOEXPO

Scioperiamo expo per fermare la piovra

Il Primo Maggio ha inizio Expo2015, l’Esposizione universale di Milano.
L’evento per cui si sono battuti i sindaci Moratti e Pisapia, fingendo di trovarvi una soluzione per i dissesti economici dell’amministrazione comunale.
A poco più di un mese dalla data di inaugurazione, pare che solo il 18% del cantiere su cui sorgeranno i padiglioni della fiera sia completato e già si studiano dei sistemi per occultare le parti non concluse.

Expo e i suoi effetti
Ma cos’è Expo? Dietro all’altisonante e toccante slogan “Nutrire il pianeta, energia per la vita” si nascondono tutti i tentacoli del mostro, un grande evento che rappresenta lo scudo comunicativo e giuridico con il quale introdurre leggi speciali e provvedimenti eccezionali:

Nella società
– Sciacallaggio e privatizzazione del settore pubblico a spese della cittadinanza tramite la costituzione di società private a capitale pubblico come Aerexpo spa e Expo spa. La prima nata per eseguire la compravendita di un terreno privato ad uso agricolo divenuto poi magicamente edificabile e la seconda creata invece per gestire e seguire la realizzazione dell’evento. Società come queste o quelle che stanno dietro la costruzione del reticolo autostradale di Teem e Brebemi, si sono poi rivelate veri e propri buchi neri generatori di debito e sono riuscite a inghiottire milioni di euro di finanziamenti e contributi pubblici.

Alla speculazione si sono aggiunti scandali, tangenti, inchieste per infiltrazioni mafiose e appalti truccati, azioni criminose che trovano terreno fertile nel paese dello sfruttamento intensivo del suolo e dell’edilizia “facile”.

Nel mondo del lavoro e della formazione
– Nuove forme di lavoro atipico e deroghe al patto di stabilità tramite accordi con i sindacali confederali. Expo è il banco di prova del Jobs Act di Renzi, ovvero la svendita dei diritti e la liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro tramite la possibilità di rinnovare a dismisura il tempo determinato (nel Jobs Act fino a 3 anni senza obbligo di assunzione), l’abbassamento della percentuale di assunzione obbligatoria legata all’apprendistato, la mancanza totale di processi di formazione e la misera remunerazione per chi lavora in regime di stage e l’istituzionalizzazione del lavoro non retribuito per Expo. Il lavoro diventa infima merce di scambio, se gratuito ancora meglio. Aggressiva la campagna pubblicitaria innescata da Manpower per reclutare disoccupati, inoccupati e studenti nelle scuole superiori e nelle università, pronti a sacrificarsi in cambio di una voce “prestigiosa” sul proprio curriculm. Una battaglia, quella contro il lavoro volontario e gratuito, combattuta sul terreno di un mondo della formazione sempre più svilito dalle politiche di privatizzazione ed aziendalizzazione di cui il nuovo governo si è fatto convinto alfiere.
Esempio emblematico delle politiche sul lavoro è la proposta di “Garanzia Giovani”, un progetto di respiro europeo, che dovrebbe essere la risposta alla disoccupazione giovanile nei paesi in cui il tasso supera il 22%, e che quindi dovrebbe permettere e incentivare l’assunzione dei NEET (giovani Not in Education, Employment or Training) da parte di aziende private e non, sotto forma di apprendistato o “working experience”, ma la cui attuazione non sta avendo i risultati sperati. Spesso infatti, le aziende che assumono, dispongono dei finanziamenti europei a proprio piacimento senza alcuna reale garanzia di stabilizzazione dei rapporti di lavoro.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che i sindacati, avendo stipulato speciali protocolli di intenti con Expo, si sono impegnati a fare in modo che in quel periodo dell’anno tutto fili liscio, ovvero che i lavoratori di Expo già privati di molti diritti, non avranno neppure quello basilare di poter scioperare…

Sui territori
– Cementificazione e deroga a qualsiasi piano regolatore, espressione concreta del disinteresse verso l’ambiente e il territorio. Per Expo sono stati ribaltati interi quartieri, come quello dell’Isola, uno dei cuori popolari di Milano, e si è anche tentato di sventrare i più grandi parchi cittadini, come il parco di Trenno e il parco delle Cave, tentativi bloccati dal fiero e forte intervento dei coordinamenti di quartiere (No Canal) esempio vincente dell’attivazione contro Expo e contro le sue articolazioni locali. L’edilizia impera come maggior “motore di sviluppo”, mentre è ormai risaputo che questo settore non garantisce crescita a lungo termine, non rappresenta un beneficio per tutta la popolazione (i proventi che ne derivano sono spartiti dal settore imprenditoriale, cooperative edilizie, palazzinari e speculatori del mattone) e codifica l’immagine della città come una successione di vuoti da riempire e pieni da ribaltare nel nome della città vetrina a discapito della memoria, della storia e della vivibilità dei quartieri.

Nell’immaginario (con l’aiuto delle multinazionali…)
I tentacoli di Expo non si sono fermati al governo del territorio metropolitano e nazionale. Expo ha anche cercato di tingersi di rosa e di verde, ovvero di legittimare la propria esistenza accostandosi a temi “alternativi”. Ci ha provato lanciando diverse campagne volte ad aprirsi alla popolazione omosessuale e alle donne.
“Women for Expo” e la progettazione della Gay street sono questo. Nel primo caso il tentativo di rievocare lo stereotipo di donna nutrice riadattandolo allo scenario attuale, una specie di ritorno alla tradizione in cui le donne non dovrebbero risultare sottomesse, ma degnamente riconosciute e fiere del loro unico ruolo (imposto e socialmente definito) di angeli del focolare e padrone della casa. Nel secondo caso invece lo scopo sembra essere quello di ghettizzare e soprattutto monetizzare una fetta di mercato fin’ora non valorizzata. Quando la persona omossessuale è un uomo, bianco, ricco e possibilmente occidentale, deve essere prevista una zona ad hoc per i suoi bisogni e le sue necessità, rivelando così l’intenzione reale: quella di drenare risorse da uno specifico tipo di portafoglio… Questo tentativo per altro non è andato a buon fine, e Expo svela il suo vero volto patrocinando i convegni omofobi ma non il progetto di gay street né il Gay pride che si svolgerà durante l’esposizione.

Infine, l’annuncio della presenza di Coca-Cola e McDonalds nei padiglioni dell’Esposizione sono la definitiva prova del fallimento della “copertura verde” di Expo. Sono gli ultimi passi di uno scenario ridicolo già da tempo. Monsanto e altri colossi della produzione agricola-industriale già lasciavano poco spazio ad una rivendicazione seria del tema dell’esposizione. Più che nutrire il pianeta lo scopo sembra essere piuttosto quello di riempire le tasche degli azionisti delle multinazionali. Multinazionali che devastano il territorio con monoculture e agricolture intensive, lasciano sul lastrico i produttori locali mentre affamano le popolazioni locali e agevolano la diffusione sul mercato di cibo spazzatura per tutti e raffinati prodotti bio per pochissimi.

Un trio pericoloso: Expo, crisi & austerity
Di fatto Expo è l’incubatrice delle politiche che affronteremo nel prossimo futuro, Jobs Act e Sblocca Italia in testa. Il grande evento è il luogo dove sperimentare le nuove misure autoritarie e anti-democratiche e accumulare debiti, con i quali poi prorogare all’infinito i ricatti e l’austerity.
Expo è l’ennesimo esempio di uno scenario già visto in Grecia con le Olimpiadi di Atene ed altri grandi eventi in tutta Europa.
Ed è proprio l’Europa che deve diventare il nostro nuovo punto fondamentale e necessario di analisi e investimento politico.
L’uso dello stato d’emergenza tramite il ricatto dell’austerity e del debito pubblico fuori controllo, la gestione centralizzata in organismi non democraticamente legittimati, che si materializzano nei governi non eletti come in Italia prima con il governo Monti e poi con quello Renzi, la Bce o la Troika a livello europeo, sono forme di una nuova governance che è in corso già da tempo e continuerà sicuramente dentro e oltre Expo.
Questo è quello che è successo in Grecia: si parte dallo sfruttamento e dall’indebolimento del territorio e si arriva all’accumulazione di debito con lo sperpero di capitali pubblici. Crisi ed emergenza sembrano essere diventate a tutti gli effetti strutture di governo della nostra epoca. L’Unione Europea, poco Europa e molto unione economica (nonostante il tentativo di presentare un volto più umano della Troika, secondo le ultime dichiarazioni di Jean Claude Junker:” Dobbiamo dare all’ Europa una struttura dotata di maggiore legittimità democratica”), impone un modello di sviluppo che diventa arricchimento per pochi, finanziarizzazione dell’economia reale, sostegno di un sistema già fallito da tempo attraverso il regime di austerità, marginalizzazione della sfera euro-mediterranea attraverso politiche di rigore per paesi come Spagna, Italia, Grecia e Portogallo, e l’impiego di misure di controllo dei confini come il Frontex o come i meccanismi di espulsione che mirano a tracciare una barriera tra Unione Europea e paesi come quelli nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo.

E’ l’Europa a chiedercelo.
Per noi le mobilitazioni verso/dentro/oltre Expo devono avere necessariamente un livello europeo di coordinamento e diffusione. Un livello che non riguarda solo i paesi dell’Unione, ma che vuole avere un respiro ampio e proporre una concezione differente di Europa.
Scioperare Expo significa definire la comune necessità del rifiuto delle nuove forme di sfruttamento, di precarietà e di lavoro atipico. Un rifiuto che riguardi sia il Workfare tedesco, forma di stato sociale subordinata alla continua e perpetua ricerca di lavori e mini-lavori che permettano l’accesso al salario minimo, che le riforme del Jobs Act italiano (ed altre riforme simili che hanno colpito l’Europa mediterranea), dove l’unica soluzione alla crisi pare essere la diminuzione dei diritti e dei salari dei lavoratori.

Scioperare Expo vuol dire costruire una dinamica di lotta comune capace di andare oltre al populismo dilagante che permette a partiti nazionalisti di destra di costruire campagne elettorali e programmi di governo basati sul rifiuto dell’Euro e dell’Europa e che, utilizzando il loro caratteristico vocabolario fatto di generica opposizione alla “casta” e rifiuto della politica, tentano di incarnare la rabbia di una cittadinanza in oggettivo stato di difficoltà.
A questo va aggiunta l’evidente deriva xenofoba dell’opinione pubblica europea, dalla Francia all’Italia, alla Germania alla Grecia, sono molte le formazioni politiche che dell’immigrazione e dei flussi migratori, della loro repressione, del loro controllo, fanno un unico punto di discussione sfociando sempre più spesso nel chiaro e semplice razzismo. Le primavere arabe e l’instabilità della zona mediorientale dettata dal sorgere dell’Isis stanno creando nuove pressioni migratorie a cui l’Unione Europea risponde solo con dispositivi militari e di repressione del fenomeno. Dall’area del Mediterraneo a quella del Centro Europa, per i movimenti diventa importante raccogliere la sfida e disarmare coloro che dall’odio del diverso ricavano la propria forza.

Scioperare Expo ci impone la necessità di fare un passo verso la costruzione di una piattaforma comune europea di alternativa politica e culturale.
L’Europa culla dei primi movimenti operai deve riuscire ad essere il territorio di rilancio della critica e della battaglia contro il nuovo sistema di produzione ed accumulazione di valore che il capitalismo ha creato sulla pelle dei nuovi sfruttati.
Per fare questo occorre trovare dei riferimenti comuni, un linguaggio comune, delle forme di lotta e di partecipazione comuni.

Per un Primo Maggio da ricordare
Crediamo fermamente che le politiche di austerità dettate dalla Troika e dai grandi dell’Europa siano un modo per relegarci alla condizione di sudditi.
Crediamo fermamente che il Grande Evento sia il momento estemporaneo ma eclatante in cui queste politiche possano attuarsi.
Crediamo fermamente che la crisi, se sfruttata da ideologie fasciste, naziste e razziste, possa diventare la miccia di una guerra fra poveri.

Per tradurre il nostro pensiero in pratica, e attaccare le strutture del potere invitiamo tutti e tutte ad unirsi a allo spezzone sociale,

#scioperiamoexpo
#connecttheEuropeanstruggles.

30 APRILE: CORTEO STUDENTESCO NAZIONALE e inizio del campeggio NoExpo

1 MAGGIO: #NOEXPOMAYDAY

2 MAGGIO: MOBILITAZIONI DIFFUSE CONTRO EXPO

3 MAGGIO: ASSEMBLEA PLENARIA GENERALE di lancio della mobilitazione per i 6 mesi di Expo

IL PRIMO MAGGIO 2015 TUTTI/E A MILANO #NOEXPOMAYDAY

MAYDAY, MAYDAY!
Da Milano ad Atene, da Istanbul a Kobane, da Berlino a Madrid, da New York a Melbourne since 1886, the Workers’ World Expo

La piovra ladra – Roberto Piumini
Per catturare la piovra ladra
fu mandata una squadra
di pesci poliziotti.
La presero sul fatto
mentre rubava un baffo
al grosso pesce gatto.
Per poterla arrestare
si dovettero usare
trenta manette.
Ma pare
che dalla sua prigione
in fondo in fondo al mare
allunghi i suoi tentacoli
a rubare.
Li allunga lenti in acqua,
li allunga sulla terra:
quello che trova afferra.
Sono giunti sul mio tavolo.
Tastano lenti e molli tutto in giro:
mi rubano la bir..

 

#scioperiamoexpo

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EXPO 2015: NUTRIRE LE MULTINAZIONALI, NOCIVITA’ PER IL PIANETA

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Il Primo Maggio non sarà la giornata di inaugurazione di un Grande Evento.

Il Primo Maggio va in scena il teatrino che presenta come eccezionale un paradigma, paradigma che in realtà si sta già affermando sul territorio lombardo e su quello nazionale.

Expo non è limitato a un periodo di tempo, non è circoscritto ad una determinata regione, Expo è l’emblema di un sistema di gestione dei territori che travalica la territorialità del qui ed ora, che sfrutta la logica del grande evento, dello stato di eccezione, per mettere i suoi tentacoli in ogni angolo della metropoli e della società: dall’alimentazione al lavoro, passando agli umilianti discorsi rispetto al ruolo della donna, alla consegna della città alla speculazione edilizia e alla corruzione. Expo non inventa nulla, raccoglie e istituzionalizza percorsi d’attacco ai diritti, alla vita, al futuro che da anni subiamo. Expo è un modello di governance, uno strumento del capitale, quindi è un acceleratore di processi neoliberali che vanno dal superamento dello stato nazione e delle sue rappresentazioni sotto forma di democrazia rappresentativa, alla speculazione e all’esproprio di ricchezza dal territorio e di sfruttamento delle vite, passando per l’imposizione della logica del “privato”. Expo, assieme a “grandi eventi” (Mondiali di calcio ed Olimpiadi), Grandi Opere e gestione dei grandi disastri ambientali ha, quindi, un ruolo centrale in questa fase del capitalismo.

Partendo dalla speculazione sui terreni agricoli, il “governo Expo” accelera i processi di svendita del patrimonio pubblico e di “privatizzazione all’italiana”: si fondano aziende di diritto privato che in realtà sono costituite da enti pubblici (vedi Expo spa); vengono drenate risorse a settori di supporto sociale, come l’abitare, la mobilità accessibile, la cultura; si attivano ingenti processi di cementificazione di aree urbane ed extraurbane (centinaia di km di asfalto tra Teem, BreBeMi, Pedemontana e la distruzione dei parchi a sud-ovest di Milano per realizzare la Via d’acqua) che stravolgono l’assetto urbanistico e la vivibilità dei quartieri.

Negli oltre sette anni di re-esistenza, come rete NoExpo abbiamo più volte descritto e semplificato questi processi, ascrivibili al modello Expo, secondo lo schema debito, cemento, precarietà, mafie, spartizione, poteri speciali, nocività, mercificazione di acqua e cibo e anche corruzione culturale, sociale, politica, ideologica. A queste parole sono corrisposte vicende, fatti e inchieste che Expo ha generato e che hanno confermato quanto affermiamo da tempo: Expo non è un’opportunità ma un problema e una minaccia non solo per Milano ma per l’intero Paese. Con l’apertura dei cancelli di Expo, queste parole d’ordine saranno il filo conduttore delle analisi e delle mobilitazioni che porteremo avanti nei prossimi mesi.

GREENWASHING
Attraverso la mistificazione delle idee di ecologia e di sostenibilità e dell’importanza di un’alimentazione sana, Expo si tinge di verde, con la green economy e il greenwashing, per mascherare l’ipocrisia di un approccio al tema tutto interno al modello economico neoliberista, in continuità con esso nel promuovere le politiche legate agli investimenti di multinazionali dell’alimentazione, del biologico a spot e dell’agricoltura intensiva ed industriale. Un evento, a sentire la propaganda, così dedito alla natura e all’ecologia che dovrebbe favorire i piccoli contadini ed un rapporto diretto con la terra, che si basi sull’acquisto solidale, la vendita diretta, il chilometro zero, la diffusione del biologico all’intera popolazione, in definitiva l’accesso per tutti al cibo.
Tuttavia, basta un’occhiata a sponsor e aziende partner di Expo per comprendere l’ipocrisia dei discorsi ufficiali. La partecipazione delle principali multinazionali dell’industria alimentare (basti pensare a McDonald’s) e della grande distribuzione; l’investimento sull’evento da parte di colossi dell’agroindustria che detengono il monopolio sulla mercificazione delle sementi e la gestione di quelle geneticamente modificate (e che moltiplicano in questo modo rapporti di dipendenza dei paesi economicamente più indigenti verso quelli più ricchi); il supporto alle politiche di sfruttamento intensivo dei terreni e il sostegno ad un’agricoltura di tipo industriale, che segue le regole del mercato schiacciando l’attività agricola rurale, sono tutti elementi che raccontano un modello che nulla ha a che fare con il “ritorno alla terra”. Un concetto, sia chiaro, emerso in funzione della cattura, all’interno della ragnatela di Expo, dei soggetti socialmente attivi sul tema, attirati da un immaginario, frutto di una banalizzazione e d’un appiattimento, utile più a vendere un prodotto che a risolvere problemi o presentare alternative.
Coca-Cola, McDonald’s, Nestlé, Eni, Enel, Pioneer-Dupont, Selex-Es, e altre aziende sponsor dei padiglioni nazionali, rappresentano alcune delle aziende responsabili dell’inquinamento di terre e mari, di deforestazioni, di nocività e morti sul lavoro, di allevamenti come campi di concentramento, di armi da guerra e di nuove tecnologie di controllo utilizzate sia in ambito militare che civile, non certo modelli da imitare. Allo stesso modo la presenza di stati come Israele o di altri regimi dittatoriali, per quanto occultata dietro la retorica del cibo strappato al deserto o altre amenità, non può far scordare le politiche genocide o autoritarie di certi Paesi. Ricordiamo che Israele coltiva sì nel deserto, ma grazie all’acqua rubata al popolo palestinese.
E la propaganda di Expo non può nascondere le reali conseguenze di questo grande evento: enormi colate cemento sui campi agricoli inglobati dalle aree espositive col contentino di seminare qualche mq in città, decine di chilometri di nuovi percorsi autostradali su aree agricole o parchi, con il taglio di migliaia di piante e la distruzione di habitat, opere tanto edonistiche quanto nocive per l’ambiente e inutili per la società.

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CIBO

L’alimentazione è il tema principale di Expo, ma il modo in cui è affrontata distorce volontariamente alcuni concetti chiave in materia agroalimentare. Expo è un evento-ponte per modellare il vestito nuovo del neo-capitalismo, la green economy che usa concetti come “benessere animale” o “sovranità alimentare” per darsi credibilità.
È evidente quanto il modello Expo sia lontano dal concetto di sovranità alimentare, visto il supermarket del futuro proposto da Coop e M.I.T. e basato sul “consumatore integrato”, cioè un individuo con un conto corrente e la disponibilità di tecnologia di ultima generazione per poter scegliere il cibo, informarsi sull’intera filiera produttiva e riceverlo a casa con i droni. Da buon magnate democratico Expo ha pensato anche a chi non potrà permettersi questo prospero futuro e ha aperto i suoi spazi a McDonald’s, probabilmente il colosso alimentare più cancerogeno e schiavista al mondo.
La formula “benessere animale”, recuperata della propaganda Expo e ripetuta come un mantra dai suoi partners alimentari, è un mal celato tentativo linguistico di edulcorare i drammatici processi dell’allevamento. Sappiamo bene che è un concetto inventato per rendere più accettabile la catena di smontaggio da individui a cibo, in modo da confortare i consumatori, oggi apparentemente consapevoli e attenti all’intero processo dell’alimentazione. Riteniamo che non è importante quanto gli animali da reddito vivano bene, come crede di insegnare Slow Food, ma è importante che ognuno di loro possa autodeterminare la propria esistenza e il proprio habitat e lo si sganci dal considerarlo come merce produttiva all’interno di un modello alimentare antropocentrico.

FREE JOBS

“Nutrire il Pianeta, Energia per la vita” quindi, uno slogan che in superficie tratta nella maniera appena descritta il tema dell’alimentazione, ma nel profondo funge da alibi dietro cui si nascondono il cemento dei piani di gestione del territorio nazionale e in cui si sostanzia una precarietà lavorativa, che oltrepassa la dimensione della crisi e diventa dispositivo strutturale per giustificare le politiche di austerity che sottendono al sistema capitalista e alla sua sopravvivenza.
Expo si fa quindi laboratorio di sperimentazione di nuove politiche sul lavoro che hanno, da una parte lo scopo di anticipare le legislazioni che riguarderanno tutto il paese, e che in gran parte il Jobs Act ha già realizzato, dall’altra quello di garantire un evento in cui la redistribuzione della ricchezza è assente o riservata solo a chi sta in cima alla piramide. Attraverso deroghe al patto di stabilità e accordi con i sindacati confederali, viene sancito, con Expo, lo stravolgimento del lavoro a tempo determinato. Permettendone la somministrazione incontrollata e il rinnovo del 100% del personale utilizzabile tra un contratto e l’altro, si abbassa la percentuale di assunzione dopo il periodo di apprendistato, si determinano condizioni di stage che poco hanno a che fare con l’ambito formativo e che invece riguardano direttamente lo sfruttamento lavorativo.
Ciliegina sulla torta di Expo è l’esercito di volontari ottenuto grazie ai suddetti accordi che permettono ad aziende e datori di lavoro di servirsi del lavoro gratuito. All’inizio 18500 persone solo sul sito, poi fermi a 7000 per carenza di candidature, poi cifre di cui diventa difficile comprendere il fondamento. Quel che è certo è che i volontari saranno la tipologia prevalente di manodopera per Expo. È la ramificazione nella ramificazione: per Expo si cercano lavoratori disoccupati da inserire nei processi di perenne occupabilità, per Expo lavoreranno gratuitamente i Neet e gli studenti medi e universitari, cui vengono imposti progetti e lavori con il ricatto del voto finale, della maturità, della promozione o del “fare curriculum”.
Con Expo viene quindi esplicitato l’obiettivo delle politiche lavorative delle ultime due decadi: da lavoratori a tempo indeterminato si è costretti ad accettare qualsiasi forma di tempo determinato; politiche che hanno portato a una crescente precarietà culminante, ora, nello sfruttamento tout court. Con Expo continua l’economia della speranza rivolta al lavoro, per cui la condizione di sognare un futuro prima o poi stabile parte già dal mondo della formazione e si materializza nel tempo sempre più come un miraggio irraggiungibile, mentre si alimenta il sistema di liberalizzazione del mercato del lavoro attraverso l’impiego di agenzie interinali come Manpower, macchine di precarizzazione che agiscono sui territori da tempo. Una speranza che, in fondo al percorso, diviene ricatto e minaccia d’esclusione sociale, agito per rimpolpare un esercito di riserva mai così numeroso.

SOCIAL?

Expo è al contempo, quindi, l’emblema di una fabbrica di sogni e di immaginari, e una farsa. Le promesse di un futuro migliore, la “pulizia” e l’eticità attraverso la categoria del “biologico&tradizionale”, “buono, sano e giusto”, dice Expo dopo aver fagocitato Slow Food e con esso l’operazione “Expo dei Popoli”. Questo contenitore di oltre 40 ONG, associazioni e reti contadine vuole cavalcare “l’occasione” del grande evento, ma attraverso le sue rappresentanze non esprime una critica alla squallida speculazione sul vivente messa in campo dal grande evento, giustificando e legittimando così tutte le logiche di cui Expo si fa vetrina. Non ci si può dire contro, dichiararsi per la sostenibilità ed essere complici di Expo 2015.
Non contento di aver fagocitato senza particolari resistenze questa fetta di mondo associativo e di società civile, che si dice attenta alle “compatibilità”, Expo rilancia con il tentativo di creare una piattaforma sensibile alle questioni di genere. In un primo momento il carattere “gay friendly” di Expo, con la volontà di creare una gay street in via Sammartini e di presentare uno scenario attento al mondo della diversità di genere, ha fatto ben sperare tutto quel giro di locali e affini che speculano sulle identità, e tutti i sinceri democratici che han creduto in un’apertura sociale del grande evento. Ma le carte in tavola si sono scoperte velocemente: la denuncia del processo di ghettizzazione alla base della creazione di luoghi “per gay” e il patrocinio di Expo ad un evento omofobo nel gennaio 2015, hanno svelato la vera natura di Expo rispetto alle questioni di genere e l’uso strumentale delle stesse. Tale natura viene confermata anche dalla creazione di un portale “Women for Expo” che diffonde una rappresentazione della donna come nutrice, cuoca e madre, parametri funzionali alla conferma di immaginari che vedono la donna relegata ad un unico ruolo e subalterna ai meccanismi di governo della società e dei territori.

IL PARADIGMA

Milano è diventata il laboratorio di un paradigma che vuole imporre un modello di sviluppo e governance che trasforma irreversibilmente e in modo lesivo la società e i territori. Vediamo la nostra città trasformata, modellata per farla diventare una bomboniera da vetrina, facendo tabula rasa della memoria dei quartieri popolari e del verde cittadino. Un modello che prevede l’accumulo di ricchezza a favore di quei pochi che regolano il gioco del settore edilizio o che gestiscono in generale le eccedenze di profitto; ci sottraggono territorio, beni comuni, servizi, reddito per darli in pasto ai grandi squali dell’edilizia o della finanza, mentre le aziende appaltanti intascano mazzette. Lo scenario dell’Expo era allestito per far da copertura a queste operazioni e mettere in moto un nuovo dispositivo predatorio.

Questa è la crescita tanto decantata dalla Troika. Questo il tipo di progresso che si sta promuovendo: un avanzare effimero che serve a rigenerare la finanziarizzazione di beni e servizi e la sottomissione di regole e priorità alle esigenze del mercato, applicate in tutti i settori, perfino nell’immaginario, per darsi autogiustificazione. Il paradigma Expo vorrebbe continuare a costruire un mondo che si è già dimostrato superato, protagonista della crisi iniziata nel 2007, e che cerca di rialzarsi calpestando le sue stesse macerie.

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L’ATTITUDINE NOEXPO
Il rifiuto di questo modello e il suo superamento nella propulsione di altre logiche sta alla base dei nostri ragionamenti e porta la rete dell’Attitudine NoExpo a individuare le seguenti priorità:
• Fermare l’estrazione di risorse e lo smantellamento dei servizi e dello stato sociale per promuovere la tutela del bene comune e del bene pubblico.
• Riaffermare la sostenibilità della vita attraverso l’abbattimento della precarietà, l’attenzione all’utilità del lavoro e alla sua retribuzione. Combattere la precarietà come dato acquisito e destinare, ad esempio, le risorse finanziarie dedicate a questi eventi ai settori lavorativi messi in ginocchio dalle nuove legislazioni.
• Trovare nella lotta ad Expo la possibilità di un fronte sociale comune, bloccando immediatamente la logica del lavoro gratuito in favore di quella del reddito garantito.
• Promuovere la cura dell’educazione e della formazione che devono tornare a focalizzarsi sullo scambio di saperi e non sulla compravendita di energie da impiegare nel mercato seguendo bisogni determinati unicamente da logiche di consumo. Ripartire dalla scuola, contestando con forza tutte le forme di aziendalizzazione della formazione pubblica e i meccanismi di falsa meritocrazia che sviliscono la qualità dell’insegnamento trasformato in una competizione senza fine.
• Ripartire dal sostegno ai piccoli agricoltori e al biologico per tutti e non solo per la ricca élite che si può permettere Eataly.
• Ripensare ad un rapporto equiparato tra le specie che popolano terre, acque, cielo, in prospettiva del superamento della prevaricazione di una popolazione sull’altra e della specie umana su tutte le altre.
• Affermare immaginari che ribaltino quelli di una società machista, maschilista e patriarcale, che svelino la ricchezza e la pluralità dei generi oltre il binarismo della categorizzazione imposta.
• Tutelare il diritto alla città, salvaguardando in primo luogo i parchi di Trenno e delle Cave che potrebbero subire, a causa di Expo, trasformazioni strutturali che porterebbero alla parziale distruzione di uno dei polmoni più importanti di Milano e metterebbero a repentaglio la vivibilità della zona.
• Riappropriarsi della città, della memoria dei sui luoghi, della ricchezza dei suoi parchi, della possibilità di vivere liberamente il territorio urbano.
• Il carattere estemporaneo di Expo rivela la necessità di una battaglia che non si esaurisce né inizia con il primo maggio, il primo maggio viene assunto come momento centrale di un percorso che si è articolato prima e si articolerà dopo la chiusura del megaevento.

Questa è l’Attitudine No Expo: un approccio a questo modello che sappia rispondere tentacolo per tentacolo e crei iniziativa, azione, (ri)creazione oltre alla mera contrapposizione.

COSA VOGLIAMO

Il Primo Maggio deve essere una giornata in cui le vertenze sollevate all’interno del territorio milanese e in tutto il Paese trovino spazio di elaborazione, espressione ed azione condivisa. Dalle politiche dell’abitare alla tutela dei beni comuni; le lotte popolari territoriali e i blocchi sociali metropolitani che resistono ai processi di saccheggio e precarizzazione; dall’analisi sul debito e sullo SbloccaItalia al dibattito su lavoro, lavoro gratuito, Neet e Garanzia giovani; dalle politiche sull’alimentazione al ragionamento sulle metropoli e i processi di gentrification; dalla questione di genere a quella animale

In questo periodo contraddistinto da una liquidità sociale senza precedenti, Expo è emblema “del nemico”, di tutte le lotte che ci accomunano. La nostra forza sta nella capacità di riconoscerci soggettività, inseribili in una globalità che modelleremo solo se sapremo metterci in discussione per tessere nuove reti di espressione, di crescita e sviluppo di lotte, saperi, percorsi e pratiche.
Il superamento di Expo è una scommessa, e in questi sei mesi vogliamo creare un’agenda politica che ci permetta di intrecciare le lotte territoriali, nazionali e internazionali e sviluppare quelle connessioni tangibili, che non si esauriranno in una manciata d’ore nei giorni della “grande” inaugurazione, e che sono condizione necessaria per dare gambe e respiro a una lunga stagione di lotta
La sfida lanciata da Renzi, quella di non rovinare la festa alla vetrina di Expo, è una scommessa che raccogliamo e rilanciamo, e che ci chiama all’azione il Primo Maggio. Ci andremo, ma con lo sguardo volto oltre la data.

LE CINQUE GIORNATE DI MILANO (29APRILE-3MAGGIO)

Contro l’inaugurazione di Expo2015 lanciamo una catena di appuntamenti, che per noi inizia il giorno prima, 30 aprile, con l’attraversamento della città da parte di un corteo studentesco di respiro nazionale che parlerà di lavoro gratuito, di riappropriazione degli spazi giovanili, di apertura di nuovi fronti di dibattito metropolitano a livello studentesco.

Seguirà il Primo Maggio, erigendosi a simbolo di un modello di sviluppo lontano dal regime dell’austerity e attento al benessere sociale della popolazione. Una giornata di iniziativa ed azione, un Primo Maggio in grado di raccogliere la radicalità festosa della Mayday milanese e di farne patrimonio per caratterizzare una protesta determinata e incisiva, legittimata dal consenso di coloro che subiscono giorno per giorno lo smantellamento dello stato sociale, capace di comunicare ad ampi strati della popolazione. Il Primo Maggio deve essere lo scenario della capacità di mobilitazione e della convinzione che senza conflitto non c’è cambiamento, ma che non c’è conflitto senza consenso. Una giornata in cui il conflitto si traduce anche in campeggio per garantire l’ospitalità a chi viene da fuori. Il campeggio si aprirà il 30 aprile. Un tempo e un luogo in cui riappropriarsi del verde della nostra città, perché l’alternativa ad Expo per vivere i nostri parchi è possibile e non per forza passa per lo sfruttamento e lo stravolgimento del territorio (vedi vie d’acqua). Un campeggio che sarà animato da dibattiti, workshop e assemblee, proprio sui temi che Expo ha deciso di usare come copertina per nascondere la sua vera natura attraverso operazioni di green-washing e pink-washing.

Il 2 maggio, abbiamo scelto di continuare la mobilitazione, non abbassando il livello del conflitto, ma diffondendo in tutta la città, su più livelli e su più pratiche e tematiche, l’opposizione diretta all’evento Expo. Nei quartieri e nei territori, dal centro storico alla provincia, attraverso l’hinterland e le periferie, mostreremo, in un’ampia varietà di azioni, quanto siamo contrari al circo di Expo.

Il 3 maggio, infine, costruiremo una grande assemblea conclusiva, capace di raccogliere il portato delle tre giornate di cortei e azioni e mettere a valore le opinioni, le proposte, le riflessioni e anche le critiche di tutti e in cui presenteremo AlterExpo, non una fiera alternativa, ma sei mesi di azioni, iniziative, alternative, percorsi, oltre il grande evento e contro il modello delle grandi opere e dei megaeventi. Un momento che sappia rilanciare lo spirito, l’attitudine dell’opposizione a Expo nei sei mesi che seguiranno, ma anche e soprattutto oltre i sei mesi dell’esposizione.

Expo è un modello di gestione del territorio, del lavoro, dell’istruzione, dei rapporti sociali, del cibo e dell’acqua, che presto o tardi ci verrà imposto senza più alcuna grande opera o grande evento a fare da paravento e giustificazione.

Noi ci opponiamo a questo modello ora, il Primo Maggio, nei sei mesi di Expo e oltre.
Expo fa male, facciamo male a Expo. Il Primo Maggio comincia la nostra festa.
See you at the party!

LE COMPAGNE E I COMPAGNI DELLA RETE ATTITUDINE NO EXPO

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