Nel fine settimana Corriere della Sera e Repubblica si sono contraddistinti sulle pagine milanesi dei due quotidiani, in una corsa a chi la spara più grossa, tra falsità e voglia di creare il “nemico pubblico”, sulla rete NoExpo. Riprendiamo da MilanoInMovimento un approfondimento sull’informazione ai tempi di Expo.
Povero giornalismo. Ricattato dai poteri economici che siedono nei Cda. Manovrato da forze vecchie come il cucco. Deturpato dall’ignoranza dei giornalisti. Orfano di lettori muniti di coscienze critiche.
Eh già, perché spesso ce lo dimentichiamo, ma i giornali, almeno un pochino, li fanno anche i lettori. E se i pochi professionisti seri ancora in circolazione si trovano le spalle scoperte e sono sotto un esponenziale ricatto al ribasso in termini di ricerca della qualità e, soprattutto, della verità, è anche perché chi latita e non si piglia responsabilità sono i lettori, il pubblico, i “consumatori” dell’informazione.
Noi che siamo milanesi dalla nascita e che, forse per campanilismo, forse per ingenuità, dal Corriere della Sera ci aspettiamo un giornalismo distante anni luce politicamente dal nostro pensiero, ma, quantomeno, rispettabile e di una qualità tutto sommato ancora accettabile, quando vediamo un articolo come quello scritto da Andrea Galli sul NoExpo (il “dossier” di domenica 11 gennaio 2015), ci indigniamo.
A pochi mesi dall’inizio di Expo2015, questioni che vengono da lontano portano i nodi al pettine.
Il percorso NoExpo iniziato nel 2007, ben prima dell’assegnazione dell’esposizione universale a Milano, ha accolto negli anni una pluralità di soggetti e affermato uno pensiero critico rispetto alle logiche e ai processiimpostidai megaeventi e dalle grandi opere al tessuto sociale e urbano della città.
E’ venuto il momento di scioglierle i nodi e chiedere conto di quanto denunciamo da allora.
Sin dall’inizio abbiamo osservato come preoccupanti politiche di governo del territorio, già in essere nel tessuto metropolitano, abbiano subito un’accelerazione grazie al volano Expo, in primis il PGT, di cui è unico orizzonte progettuale e temporale. I processi di trasformazione consegnano la città alle logiche del mercato a tutto svantaggio di una sola parte della popolazione, quella che ha uno scarso potere economico. Abbiamo parlato di città vetrina per descrivere un aggressivo marketing territoriale che privilegiava il restyling delle vie dello shopping, rispetto al potenziamento dei servizi alla persona e rispetto alla riqualificazione delle periferie. Non è un caso se la lotta per la casa è diventata un’ emergenza,la spina nel fianco di una metropoli proiettata verso il grande evento. Expo rappresenta un modello impermeabile al bisogno espresso dai comitati di lotta per la casa, il diritto all’abitare. Così come la crescente politica di sgomberi è funzionale a creare una città da esporre, ma non da vivere.
Expopolis: debito, cemento e precarietà, tre assi attraverso cui leggere il dispositivo Expo2015 come lo strumento utile all’appropriazione indebita di denaro pubblico, all’esproprio del verde pubblico/dello spazio pubblico, alla cancallazione dei diritti dei lavoratori. Negli ultimi mesi, è diventataaiuto! evidente la necessità organizzativa del grande evento di operare in un contesto straordinario, in cui l’amministrazione ordinaria è limitata e gli strumenti democratici sospesi. Lo stato d’eccezione imposto dal commissariamento è diventato così un modus operandi che ha reso Expo2015 il dispositivo più insidioso lasciato in eredità all’intero Paese e codificato con l’introduzione del decreto SbloccaItalia. Un modello che da anni sperimenta il suo aspetto repressivo contro la lotta NoTav, attraverso la militarizzazione del territorio e la criminalizzazione del dissenso.
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