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Nella Jungla d’asfalto di Expo2015

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Ci dicono che viviamo tempi di rilancio dell’economia e disegnano un oggetto che dovrebbe esserne il simbolo: le grandi opere.

Non ci riferiamo evidentemente alle manovre per rimettere in asse partiti svuotati di senso oppure per ridare ad anziani demagoghi una pelle splendida. Sono invece le nuove autostrade, almeno in Lombardia, le grandi opere che rappresentano la scommessa di politici regionali e nazionali; una scommessa a sentir loro già vincente, che muoverà circa 10,5 miliardi di euro (soldi nostri s’intende), perché lega la sua riuscita all’Esposizione Universale del 2015 a Milano.

Jolly o carta segnata? Che qualcuno stia barando, nelle grandi opere come nel grande evento, lo diciamo da tempo. Anche prima degli scandali, che non sorprendono (non si offenda la PD SìTAV Lorenzetti se ci auguriamo di non sentirla mai più, ha già fatto sufficienti danni), ma aumentano amarezza e rabbia. Inevitabile, in fondo; ormai dei contenuti di queste opere nessuno parla più, visto che i loro contenuti sono stati completamente sbugiardati da analisi e indagini indipendenti. Per questo, anche parlare di EXPO come fenomeno in grado di valorizzatore l’agroalimentare locale è una barzelletta che da tempo ha smesso di far ridere. Una situazione che invece non ha smesso di far partecipare e sollevare persone, comitati, realtà e soggetti sociali. Sull’antico progetto Pedemontana (parte del dossier Expo presentato al BIE) è da tempo attiva un’opposizione locale e sociale con la quale, come rete NoEXPO, fraternizziamo per via di una comune sensibilità avversa alle grandi devastazioni territoriali. Il cemento che cola dall’alto di una betoniera chiamata “uscita dalla crisi” altro non è che il modo attraverso cui la banda finanza/mattone, in gran parte responsabile della stessa crisi, cerca di spolpare risorse pubbliche. In modo spesso legale, perché si sono dotati di un’adeguata copertura legislativa, ma completamente illegittimo.

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Riflessioni d’estate per un autunno NoExpo

elenco_179869L’estate che volge al termine, si chiude nel segno di Expo2015, così come si era aperta. Il 7 luglio, a Monza, la svolta data, da Napolitano e Letta, a Expo2015, con l’attribuzione al grande evento meneghino di un ruolo salvifico e di rilancio per l’economia italiana per uscire dalla crisi. Più un’operazione di immaginario che di sostanza, ma che ha segnato sicuramente un cambio di paradigma e di significati di tutta l’operazione Expo2015 e, per quel che ci riguarda, dell’attitudine NoExpo. Ieri, 13 settembre, di nuovo Letta ha benedetto il cantiere di Rho-Pero, rassicurando (ma tra poche settimane le chiacchiere dovranno lasciare il posto ai fatti) su soldi, tempi, investimento d’immagine da parte del Governo (contemporaneamente la sua spalla del Quirinale benediva le imprese che lavorano al TAV…)

Le stesse parole, gli stessi schemi e ragionamenti fatti sei anni fa, quando ci dissero che Expo2015 avrebbe rilanciato Milano e la Lombardia nel mondo, oggi  sono declinati in salsa nazionalpopolare e gonfiati dalla retorica degli “italiani che nelle difficoltà e nelle emergenze danno il meglio di loro stessi”. Dentro la recessione e la crisi sociale e di sistema, che sta distruggendo intere nazioni e impoverendo milioni di persone in tutta Europa, la ricetta nostrana per risollevare le sorti dell’Italia e compattare opinione pubblica, media e blocco di potere è Expo2015, l’Expo più sgangherato della storia, quello che vorrebbe nutrire il Pianeta e che, a oggi, non si capisce ancora cosa sarà.

Come se non bastasse, nell’assenza d’idee per il post-2015, in mancanza di un’idea di città, ecco la nuova pensata geniale, facciamo le Olimpiadi del 2024 a Milano, sul sito Expo, così rilanciamo. Nel frattempo anche Roma insegue lo stesso sogno, in una folle corsa a raggiungere Atene e Torino e il loro default post-olimpico. Soloni ci spiegano i vantaggi per il PIL, ma non parlano delle devastazioni ambientali, dell’indebitamento pubblico, di tasse e tagli a servizi necessari per finanziare i grandi eventi, della miseria del lavoro che si portano appresso a livello qualitativo, reddituale e di garanzie.

Ma fermiamoci per ora al 2015.

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