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#16N TRENNO – VIOLATO IL CANTIERE DELLA VIA D’ACQUA
Ieri è stata una giornata di lotta contro le dinamiche di Expo2015 e le sue articolazioni territoriali, dalla Brianza al Parco di Trenno, abitanti, comitati, attivisti noexpo hanno ribadito che non intendono sopportare senza reagire i lasciti di cemento pagati a suon di debito pubblico, uniche eredità che il megaevento lascerà insieme a tanta precarietà.
Il racconto della giornata, nelle parole di un mediattivista di MilanoX
Alla fine la prima rete la sposta un signore con i capelli bianchi: “il parco è di tutti, e allora facciamola dentro l’area del cantiere l’assemblea”. Un bimbo col triciclo lo segue e dietro tutti gli altri battendo le mani. Poi è un attimo, altre tre reti vengono spostate e il parco recintato si riapre agli abitanti del quartiere.
Siamo al Gallaratese, nella parte di parco Trenno che si affaccia su via Lampugnano. Qui sabato pomeriggio in 200, perlopiù abitanti di zona, si sono ritrovati davanti alle reti del cantiere della Via d’Acqua, una delle opere previste per Expo 2015. Il parco di Trenno, insieme a quello delle Cave e al Pertini, ospiteranno loro malgrado questa opera idraulica che serve a far scorrere l’acqua nel laghetto del sito di Expo, collegando il canale Villoresi al Naviglio Grande di Milano.
89 milioni di euro il costo di realizzazione, lavori appaltati a un’azienda già sotto inchiesta per lavori in altre zone d’Italia (la Maltauro spa), il cui progetto definitivo non è mai stato votato dal consiglio comunale di Milano. L’opera è stata infatti inserita tra quelle prioritarie e gestite direttamente dalla società Expo spa con il commissario unico Giuseppe Sala. “Qui non si è visto nessuno a spiegarci l’opera, nessuno nel quartiere e nessuno nei consigli di zona” dice una signora. “Da un giorno all’altro abbiamo visto le reti arancioni in mezzo al parco”.
Sul #19O e oltre – casa&reddito per tutte e tutti, Expo e TAV per nessuno
La prima considerazione, dopo la grande manifestazione di sabato 19 ottobre a Roma, è che per una volta, siamo riusciti a rovesciare le aspettative negative: moltissime persone, probabilmente al di là delle aspettative più ottimiste, e non solo riducibili al pubblico e alla galassia di antagonisti e centri sociali. Una mobilitazione chiamata su parole d’ordine radicali – casa e reddito per tutti e tutte stop a grandi opere e megaeventi, abolizione della Bossi-Fini – con anche momenti di contestazione dura, che ha saputo squarciare il velo di falsità, provocazioni e isolamento con cui si era cercato di anestetizzare le lotte e le rivendicazioni che sabato sono state così ben rappresentate in piazza, anche con la continuità data alla giornata con le iniziative che in questi giorni e nelle prossime settimane porteranno avanti la lotta sui territori.
I media, il blocco di potere politico ed economico, speravano di poter ridurre tutto a devastazione e saccheggio, pronti a esaltare l’eroismo degli apparati dello stato e a dividere buoni e cattivi; magari qualcuno sperava anche scappasse il morto. Questi soloni non hanno capito nulla; pensavano di poter ingabbiare nell’austerity e nei governi emergenziali la rabbia di chi subalterno, precario, migrante, di chi lotta contro speculazioni e devastazioni territoriali alimentate con iniquo debito pubblico. Mentre il mondo intero si sollevava, dal Brasile alla Turchia, contro queste politiche, dopo anni di mediterraneo infiammato da proteste e rivolte; mentre le recessione e la crisi sociale sta distruggendo intere nazioni e aumentando disuguaglianze e povertà, giornalisti e politici si stupivano che ci fosse chi dicesse basta e invocasse assedi e sollevazioni. Vi è andata male e ora, che non si può ignorare la portate e le richieste del #19, cercano di ridurre tutto a un problema sociale, la casa, e non politico, quali invece sono i legami che fanno di casa e politiche delle grandi opere due facce della stessa medaglia. Questo è ben chiaro alle migliaia di corpi che per ore hanno occupato le strade romane sabato scorso e che rimandano inevitabilmente alle altrettante che solo una settimana prima, più o meno ovunque sul territorio nazionale, animavano iniziative, occupazioni, lotte in difesa dei territori da cemento, grandi opere e grandi eventi. La questione è politica, di scelte di modello economico-sociale, e i 70 o 100 mila, non è importante, di sabato a Roma non hanno e non vogliono rappresentanza, perché nel quadro attuale sanno che solo la lotta e l’organizzazione orizzontale dal basso pagano.
Casa e reddito universale incondizionato come risposta alla crisi; diritti e dignità come risposta alla precarietà e al razzismo; beni comuni, saperi e territori difesi in alternativa a TAV, Expo, MUOS, inceneritori e tutte quelle opere utili più a speculatori, banche e sistemi di potere clientelari ed emergenziali che ai reali bisogni di popolazioni e territori. Cercano di convincerci che sono politiche e opere che portano vantaggi per il PIL, ma non parlano delle devastazioni ambientali, dell’indebitamento pubblico, di tasse e tagli a servizi necessari per finanziare i grandi eventi e le grani opere, della miseria del lavoro che si portano appresso a livello qualitativo, reddituale e di garanzie. Un modello economico che alimenta precarietà e povertà in una spirale che poi rende la casa un miraggio, se non occupando o sottomettendosi al ricatto dell’housing sociale, laddove le città diventano luoghi di conquista per banche e palazzinari. La valorizzazione del suolo e la finanziarizzazione del sociale marciano di pari passo per estrarre ricchezza da popolazioni indisponibili a cedere al ricatto dell’austerity. E se non ci stanno, repressione e criminalizzazione,anche preventiva, come nel caso del 19 ottobre.
Per quanto riguarda l’attitudine NoExpo, torniamo da Roma con in tasca la conferma che la lotta a Expo sia centrale e strategica. Dal 7 luglio, dai proclami di Letta e Napolitano in quel di Monza, Expo è diventato l’unico obiettivo e mezzo di breve periodo per l’uscita dalla crisi e si deve fare, costi quel che costi. E in questi mesi si giocherà la partita decisiva rispetto a quanto accadrà fuori e dentro il perimetro dell’esposizione durante i sei mesi. Sappiamo che debito, cemento e precarietà sono i tre pilastri su cui si fonda il potere eversivo di un’esposizione che sta già mutando forme del territorio, rapporti di lavoro, organizzazione della vita metropolitana. La piazza romana ha ribadito che il diritto alla città non si domanda, che contro modelli di governance imposti dall’alto, contro austerity, precarietà e scelte economiche asservite agli interessi della finanza e dei mercati, lotta e resistenza sono gli unici mezzi possibili. E solo la lotta può evitare che Milano faccia la fine di Torino o Atene, che ancora pagano i costi sociali ed economici dei mega-eventi. Il successo del 19 non può che darci più forza in questo senso.
Non sappiamo se sia nato un movimento, ma certo la saldatura tra la bomba sociale costituita dalla questione abitativa e le lotte territoriali segna un passo importante, che va oltre lo slogan “una sola grande opera casa&reddito per tutt@”, e può costituire un potente strumento di lotta e resistenza nelle città come in Valle.
Restano alcune importanti questioni da sciogliere sia a livello nazionale che milanese e una priorità: come consolidare ed estendere il successo romano del 19 in un successo realmente generale? Come dare continuità ad un corteo dalla composizione così eterogenea? Come declinare in questo contesto e con quali tappe future l’attitudine NoExpo?
La priorità?….Quella di sempre, la stessa di Genova 2001 o del 15 ottobre 2011 o della repressione in Val Susa, ancora una volta si parte e si torna tutti assieme e quindi libere tutte e liberi tutti subito. Il #19 non si arresta.
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