Benvenuti Signore e Signori alla fiera internazionale di Expo 2015, nutrire il pianeta energie per la vita. Il grande evento che devasta la nostra città e che si presenta come passerella per consolidare e intensificare i meccanismi di precarizzazione della vita e del mondo del lavoro, costringendo la nostra generazione a un non-futuro. Per noi opporsi a Expo significa opporsi a un modello socio-economico di sfruttamento sia della natura che dell’uomo, che fonda le proprie basi sul profitto di pochi a spese di tutti. Expo 2015 è una vetrina della nostra società e di tutte le contraddizioni che si porta dietro, dove sfruttatori e speculatori si venderanno al pubblico come promotori di modelli di sviluppo sostenibile e dove noi saremo ridotti al solo ruolo di spettatori inermi, senza alcuna possibilità di prender parola e di manifestarne il dissenso.
La nostra generazione è la più colpita dal grande evento e, in un contesto in cui siamo costretti a vivere con il 47% di disoccupazione giovanile, proprio a noi, viene chiesto di lavorare gratis e di regalare la nostra forza-lavoro a Expo 2015 e al malaffare mafioso che lo gestisce. Ma, oltre al lavoro gratuito, gli studenti sono costretti a subire un’altra grande offesa: la trasfigurazione che le nostre città in questi anni stanno subendo. Il disegno di chi gestisce la città è chiaro: accelerare e incentivare a Milano il modello di città simbolo del neoliberismo e del capitalismo finanziario globale. Tutte le piazze e i luoghi di socialità della città vengono pensati in funzione del profitto: i parchi recintati, le strade riempite di telecamere, tutte le forme di auto-determinazione non compatibili con il sistema represse. In tale contesto la nostra generazione viene a trovarsi senza prospettive nè sogni.
A pochi mesi dall’inizio di Expo2015, questioni che vengono da lontano portano i nodi al pettine.
Il percorso NoExpo iniziato nel 2007, ben prima dell’assegnazione dell’esposizione universale a Milano, ha accolto negli anni una pluralità di soggetti e affermato uno pensiero critico rispetto alle logiche e ai processiimpostidai megaeventi e dalle grandi opere al tessuto sociale e urbano della città.
E’ venuto il momento di scioglierle i nodi e chiedere conto di quanto denunciamo da allora.
Sin dall’inizio abbiamo osservato come preoccupanti politiche di governo del territorio, già in essere nel tessuto metropolitano, abbiano subito un’accelerazione grazie al volano Expo, in primis il PGT, di cui è unico orizzonte progettuale e temporale. I processi di trasformazione consegnano la città alle logiche del mercato a tutto svantaggio di una sola parte della popolazione, quella che ha uno scarso potere economico. Abbiamo parlato di città vetrina per descrivere un aggressivo marketing territoriale che privilegiava il restyling delle vie dello shopping, rispetto al potenziamento dei servizi alla persona e rispetto alla riqualificazione delle periferie. Non è un caso se la lotta per la casa è diventata un’ emergenza,la spina nel fianco di una metropoli proiettata verso il grande evento. Expo rappresenta un modello impermeabile al bisogno espresso dai comitati di lotta per la casa, il diritto all’abitare. Così come la crescente politica di sgomberi è funzionale a creare una città da esporre, ma non da vivere.
Expopolis: debito, cemento e precarietà, tre assi attraverso cui leggere il dispositivo Expo2015 come lo strumento utile all’appropriazione indebita di denaro pubblico, all’esproprio del verde pubblico/dello spazio pubblico, alla cancallazione dei diritti dei lavoratori. Negli ultimi mesi, è diventataaiuto! evidente la necessità organizzativa del grande evento di operare in un contesto straordinario, in cui l’amministrazione ordinaria è limitata e gli strumenti democratici sospesi. Lo stato d’eccezione imposto dal commissariamento è diventato così un modus operandi che ha reso Expo2015 il dispositivo più insidioso lasciato in eredità all’intero Paese e codificato con l’introduzione del decreto SbloccaItalia. Un modello che da anni sperimenta il suo aspetto repressivo contro la lotta NoTav, attraverso la militarizzazione del territorio e la criminalizzazione del dissenso.
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