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Riflessioni d’estate per un autunno NoExpo

elenco_179869L’estate che volge al termine, si chiude nel segno di Expo2015, così come si era aperta. Il 7 luglio, a Monza, la svolta data, da Napolitano e Letta, a Expo2015, con l’attribuzione al grande evento meneghino di un ruolo salvifico e di rilancio per l’economia italiana per uscire dalla crisi. Più un’operazione di immaginario che di sostanza, ma che ha segnato sicuramente un cambio di paradigma e di significati di tutta l’operazione Expo2015 e, per quel che ci riguarda, dell’attitudine NoExpo. Ieri, 13 settembre, di nuovo Letta ha benedetto il cantiere di Rho-Pero, rassicurando (ma tra poche settimane le chiacchiere dovranno lasciare il posto ai fatti) su soldi, tempi, investimento d’immagine da parte del Governo (contemporaneamente la sua spalla del Quirinale benediva le imprese che lavorano al TAV…)

Le stesse parole, gli stessi schemi e ragionamenti fatti sei anni fa, quando ci dissero che Expo2015 avrebbe rilanciato Milano e la Lombardia nel mondo, oggi  sono declinati in salsa nazionalpopolare e gonfiati dalla retorica degli “italiani che nelle difficoltà e nelle emergenze danno il meglio di loro stessi”. Dentro la recessione e la crisi sociale e di sistema, che sta distruggendo intere nazioni e impoverendo milioni di persone in tutta Europa, la ricetta nostrana per risollevare le sorti dell’Italia e compattare opinione pubblica, media e blocco di potere è Expo2015, l’Expo più sgangherato della storia, quello che vorrebbe nutrire il Pianeta e che, a oggi, non si capisce ancora cosa sarà.

Come se non bastasse, nell’assenza d’idee per il post-2015, in mancanza di un’idea di città, ecco la nuova pensata geniale, facciamo le Olimpiadi del 2024 a Milano, sul sito Expo, così rilanciamo. Nel frattempo anche Roma insegue lo stesso sogno, in una folle corsa a raggiungere Atene e Torino e il loro default post-olimpico. Soloni ci spiegano i vantaggi per il PIL, ma non parlano delle devastazioni ambientali, dell’indebitamento pubblico, di tasse e tagli a servizi necessari per finanziare i grandi eventi, della miseria del lavoro che si portano appresso a livello qualitativo, reddituale e di garanzie.

Ma fermiamoci per ora al 2015.

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Grandi eventi, piccoli diritti: no alla generalizzazione dei contratti di lavoro modello Expo2015

Riprendiamo e pubblichiamo l’appello pubblicato ieri 3 agosto da Il Manifesto e sottoscritto da economisti, giuslavoristi, docenti universitari, giornalisti, esponenti politici e attivisti NoExpo; l’appello critica il modello di contratti di lavoro per Expo 2015 siglato settimana scorsa da CGIL-CISL-UIL e ExpoSpa, con il beneplacito di Governo e Confindustria, che introduce nuova flessibilità e precarietà, laddove non se ne sentiva proprio, con la scusa che non si può fallire l’appuntamento con il 1 maggio 2015; individuando nel provvedimento legislativo ad hoc, un pericoloso grimaldello per i diritti del lavoro e le condizioni sociali del nostro paese, i firmatari dell’appello chiedono di abbandonare l’ipotesi, che piace tanto al Ministro Giovannini, di estendere il modello Expo ad altri settori, come mezzo per rilanciare economia e crescita.

No alla nuova precarietà, no alla schiavitù per Expo2015

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L’accordo firmato il 23 luglio 2013 tra Expo 2015 Spa e i sindacati confederali e di categoria è stato salutato dalla voce dei firmatari e dalla stampa come esperimento pilota a promozione del lavoro giovanile, un prototipo garante dei diritti dei neoassunti. Tolte le paillettes e i lustrini, questa lettura cade e si svela l’anima profonda dell’accordo: violazioni delle norme vigenti, arretramento dei diritti e svuotamento di tipologie contrattuali sono la componente principale dell’accordo, mosso dalla convinzione che la deregolamentazione del lavoro sia la strada maestra per favorire la ripresa economica e la formazione di nuovi posti di lavoro. Prendiamo il ricorso massiccio all’apprendistato: questa tipologia contrattuale viene scelta non tanto per favorire la formazione e la creazione di nuove professionalità, ma per regolarizzare chi lavora con un inquadramento inferiore, quindi con una retribuzione minore e con uno sgravio contributivo pressoché totale per l’azienda. Di solito l’apprendistato avviene in luoghi di lavoro stabili, per cui è probabile la trasformazione a tempo indeterminato. I profili professionali qui previsti per questa tipologia contrattuale (Operatore Grande Evento, Specialista Grande Evento, Tecnico Sistemi di gestione Grande Evento) sono legati alla realizzazione di ulteriori grandi eventi per cui le possibilità di un’assunzione stabile sono altamente improbabili. In sostanza siamo di fronte ad uno svilimento dell’istituto dell’apprendistato stesso, malgrado l’elogio di quest’ultimo che in tempi recenti si è ripetuto nel dibattito politico.
Un altro punto enfatizzato nei giorni scorsi riguarda la novità della casuale che giustificherebbe il ricorso al contratto di lavoro e tempo determinato e alla somministrazione del lavoro a termine, che dovrebbe riguardare l’80% dell’organico complessivo. Si tratta di una operazione strumentale, fatta per promuovere questa modifica in chiave generale e in altri contesti, priva di utilità concreta visto che il D.P.R. 7 ottobre 1963, n.1525, attuativo della legge 230/62 sui contratti a termine, già prevedeva al punto 45 la possibilità di ricorrere a contratti a termine per Fiere ed Esposizioni, categoria nella quale Expo 2015 ricade.
Anche lo stage, che prevalentemente viene dedicato all’apprendimento, appare qui come una delle tante forme di lavoro mascherato, con un profilo formativo del tutto imprecisato, di fatto retribuito con 516 euro mensili, naturalmente presentati come rimborso spese, più un buono pasto giornaliero di 5,29 euro.
Infine è previsto un utilizzo massiccio del volontariato (18.500 unità) del tutto gratuito (salvo eventuali rimborsi spese) quale «espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo». Il compito dei volontari, però, non è quello di assistere persone in difficoltà, ma di fornire un normale servizio di accoglienza per i visitatori della mostra. Il nome esatto in questo caso è lavoro gratuito: esempio plateale di un «agire comunicativo-relazionale» indispensabile al funzionamento dei grandi eventi ma del tutto svalutato. Riteniamo che un simile accordo rappresenti un pericoloso precedente che contrappone il lavoro ai diritti. Come le grandi opere depauperano il territorio, così il lavoro gratuito e l’iper precarizzazione dei contratti frantumano il futuro delle nuove generazioni e demoliscono conquiste ottenute con anni di lotta.
Non a caso, il ministro del Lavoro ha sfruttato l’occasione per auspicare l’abolizione della causalità dei contratti a termine, per chiedere la rapida conversione del decreto Letta-Giovannini e per premere verso un secondo decreto nel mese di settembre. Chiediamo che venga respinta l’idea – già avanzata da governo e parti sociali – di una generalizzazione, tramite contrattazione o addirittura per via legislativa, del modello Expo ad altri contesti che sarebbe un ulteriore colpo al diritto del lavoro nel nostro Paese. La moltiplicazione di nuovi plotoni di precari specializzati e di vittime del lavoro gratuito è esattamente ciò di cui il nostro Paese non ha bisogno.

Piergiovanni Alleva, Giuliana Beltrame, Roberto Ciccarelli, Giuseppe De Marzo, Andrea Fumagalli, Alfonso Gianni, Giovanni Giovannelli, Marcello Guerra, Roberto Maggioni, Enzo Martino, Sandro Medici, Luciano Muhlbauer, Roberto Musacchio, Monica Pasquino, Emanuele Patti, Livio Pepino, Marco Revelli, Umberto Romagnoli, Luca Trada, Guido Viale

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