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Lavorare a Expo2015: stipendi da fame, contratti pirata e licenziamenti politici
A un mese dall’apertura dei cancelli di Expo 2015, delle tanto celebrate “eccellenze” dell’Esposizione universale brilla sicuramente quella dello sfruttamento.
Se, com’è noto, la spina dorsale dell’Esposizione è costituita dal lavoro non retribuito di migliaia di volontari, in questi giorni sono arrivati anche i licenziamenti di 40 hostess del Padiglione Italia a suggello delle non mantenute promesse occupazionali che hanno sostenuto l’evento. Per non parlare poi di contratti “pirata” con retribuzioni del 30% più basse, utilizzo indiscriminato di tirocini e stage, reclutamento pressoché coatto da scuole e carcere, turni massacranti di lavoro e stipendi da fame.
In Expo vige inoltre uno “stato d’eccezione” che di fatto sospende lo stato di diritto in virtù della “rilevanza strategica nazionale” accordata all’evento; a causa di di ciò i lavoratori (e chiunque richieda un pass per entrare nel sito) vengono sottoposti a controlli di polizia atti a valutarne la “pericolosità sociale” sulla base anche di informazioni “riservate” che vanno oltre i rilievi penali. Si tratta di “segnalazioni” e “note” in banche dati delle forze di polizia che, tra l’altro, prendono in considerazione le opinioni e l’appartenenza politica e che possono determinare l’interdizione all’ingresso nel sito espositivo e quindi, per i lavoratori, sono alla base di licenziamenti. Dal 2013 ad oggi sono stati inconsapevolmente sottoposti a tali screening di sicurezza oltre 60 mila persone: sulla base di un parere negativo della Questura di Milano sono invece state licenziate da Expo oltre 600 persone, impossibilitate quindi ad accedere a un reddito per vivere a causa di un parere di polizia.
Nel sonnecchiante silenzio del mondo politico italiano, mentre continua il consueto scaricabarile di responsabilità tra Expo e le autorità competenti sull’indebito spionaggio, è evidente che tale prassi abbia ricevuto l’avvallo dei più alti livelli di governo, sia centrale che locale. Quello che avrebbe dovuto essere il “grande evento salvifico” in grado persino di “traghettare il Paese fuori dalla crisi” – citiamo a casaccio tra la martellante propaganda “expottimista” – si sta miseramente trasformando in un laboratorio di controllo e soppressione delle più elementari garanzie democratiche, addirittura ben oltre la generale compressione dei diritti del lavoro di cui comunque Expo 2015 rimane una vetrina.
RETE ATTITUDINE NOEXPO
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Expo2015 e lavoro, un binomio che ridisegna i rapporti sindacali ed apre scenari ben poco conflittuali, ammiccanti a metodi di sfruttamento piuttosto classici.
L’ultimo tavolo sindacale sull’argomento, chiusosi alle 2,30 di notte il 16 aprile scorso, ha avuto come oggetto il cosiddetto “incentivo Expo”. Dopo aver messo sul piatto umilianti proposte quali il blocco delle ferie o lo straordinario ad oltranza, l’amministrazione ha affrontato il tavolo sindacale confermando tutto ciò che s’era prefissata aggiungendovi un premio incentivante, in denaro, a tutti coloro ritenuti coinvolti nell’operazione Expo.
Su basi ovviamente arbitrarie, l’impatto di un megaevento del genere, dovrebbe esser noto, ricade su tutto il lavoro della pubblica amministrazione. Un premio incentivante di qualche milione di euro (inizialmente 3 milioni di euro, divenuti poi 5,5) attraverso cui distribuire le solite briciole offerte a chi evidentemente è costretto ad accettare qualsiasi condizione pur di raggranellare qualche euro in più.
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